Quando il vino è misura e gioia, ma anche rischio: il difficile equilibrio tra piacere e responsabilità
Ci sono momenti in cui il vino è festa, calore, comunione. Basta un calice condiviso con le persone giuste per sentire che la vita diventa più leggera, che le parole scorrono più sincere, che la distanza tra gli uomini si accorcia. Ma ci sono anche momenti in cui quel calice diventa di troppo, in cui l’ebbrezza smette di essere sorriso e diventa smarrimento.
Il vino è da sempre al confine tra gioia e pericolo. Un confine sottile, che ciascuno di noi impara a conoscere con l’esperienza. Ed è proprio questo confine che voglio esplorare: la linea invisibile che divide l’ebbrezza dalla sobrietà, la leggerezza dalla perdita, la misura dall’eccesso.
Il vino che scalda il cuore
Da millenni il vino accompagna la vita degli uomini. Non è solo bevanda: è rito, simbolo, linguaggio. Nel mondo contadino era conforto dopo una giornata di fatica. Sulla tavola delle feste era segno di abbondanza. Nella Bibbia e nella letteratura antica era metafora di vita, di sangue, di gioia.
Nessun’altra bevanda ha avuto un posto così centrale nel nostro immaginario collettivo. Il vino scalda, apre, unisce. Non è mai stato un semplice liquido: è storia liquida.
Ricordo ancora le tavole di paese, quando nei pranzi di matrimonio le bottiglie venivano stappate una dopo l’altra. Non contava l’etichetta: contava la condivisione. Bastava un bicchiere in più perché i canti partissero spontanei, le differenze sociali si sciogliessero, gli abbracci diventassero più sinceri.
Eppure proprio lì, nella gioia, si nascondeva anche l’altra faccia: chi alzava troppo il gomito, chi smetteva di controllarsi, chi trasformava la festa in eccesso.
L’ebbrezza come illusione di libertà
L’ebbrezza ha un fascino antico. È il momento in cui le difese cadono, in cui si dimenticano i pensieri e le preoccupazioni. Per alcuni è libertà, per altri fuga.
Non c’è nulla di male nel lasciarsi andare ogni tanto, purché resti un gioco, un lampo passeggero. Il problema nasce quando l’ebbrezza diventa abitudine, quando il vino non è più compagnia ma stampella, non più piacere ma necessità.
Ho conosciuto persone che nel vino cercavano una via di fuga: dalla solitudine, dalle difficoltà, da un dolore che non sapevano raccontare. In quei casi, il calice non era più un dono ma una trappola.
E allora l’ebbrezza smette di essere leggerezza e diventa schiavitù.
La sobrietà come scelta
La sobrietà non significa rifiutare il vino, ma saperlo vivere nella misura giusta.
Un calice raro, gustato lentamente, può essere più ricco di dieci bicchieri bevuti in fretta.
La sobrietà è un atto di consapevolezza: riconoscere il limite, accettare che non serve superarlo per stare bene. È un atto di libertà più autentico dell’ebbrezza, perché non ha bisogno di illusioni.
Personalmente, con l’età, ho imparato ad amare di più la sobrietà che l’eccesso. Non sollevo il calice ogni giorno, ma quando lo faccio so che quel sorso ha un valore unico. Non cerco più la quantità, ma la qualità dell’attimo.
Il vino come metafora di equilibrio
Il vino stesso insegna la misura. Un grande vino non è mai squilibrato: non è troppo acido, né troppo tannico, né troppo alcolico. La sua bellezza nasce dall’armonia tra gli elementi.
Così dovrebbe essere la vita. L’uomo che cerca solo l’ebbrezza finisce per perdersi; l’uomo che sceglie solo la sobrietà rischia di diventare arido. È nell’equilibrio tra le due che si trova la verità.
Un bicchiere al momento giusto può essere dono. Un bicchiere di troppo può cancellare tutto.
La misura è personale
Non esiste una regola uguale per tutti. La misura è intima, personale.
C’è chi con un bicchiere è già allegro, chi con due è ancora lucido, chi non regge nemmeno mezzo.
La saggezza non sta nel giudicare, ma nel conoscersi. Saper dire “basta” quando basta, saper godere senza rovinare, saper sorridere senza cadere.
Memorie di calici
Se ripenso alla mia vita, ho ricordi diversi legati al vino. I brindisi della giovinezza, le cene con gli amici, i bicchieri di troppo che hanno lasciato il giorno dopo più vuoto che piacere.
Ma ricordo anche i calici rari, quelli che hanno avuto un valore simbolico: un compleanno, un traguardo, un abbraccio dopo tanto tempo. Quei bicchieri non mi hanno dato ebbrezza, mi hanno dato memoria.
E oggi so che sono quelli i più preziosi.
Oltre la misura: un valore collettivo
Oggi si parla tanto di consumo responsabile, di educazione al bere. Ma questo non dovrebbe ridursi a slogan pubblicitari: è cultura. Il vino, se vissuto con rispetto, può diventare occasione di incontro, memoria di comunità, ponte tra generazioni. Non un pericolo da temere, ma una ricchezza da custodire.
Conclusione
L’ebbrezza e la sobrietà sono due facce dello stesso calice. Non si tratta di scegliere l’una o l’altra, ma di imparare a riconoscere il limite che le separa.
Il vino può essere gioia, rito, memoria. Ma può anche diventare peso e smarrimento.
Sta a noi custodire il confine.
Perché il vino, come la vita, è bello quando sa restare equilibrio.
E allora capisco che non serve scegliere tra ebbrezza e sobrietà come opposti inconciliabili. La vera bellezza è nel gesto di alzare il calice con consapevolezza, sapendo che dentro non c’è soltanto vino: c’è il tempo, ci sono le persone, ci sono le storie.
E allora l’ebbrezza diventa sorriso, e la sobrietà non più rinuncia, ma libertà.
✒️ La Panca Vuota – Storie di Vino

