martedì 9 settembre 2025

Il lume alla finestra



Un segno piccolo, un messaggio universale

C’era un tempo in cui bastava un lume, una semplice candela posata dietro il vetro, per dire molto più di mille discorsi. Il lume alla finestra era un segnale che parlava senza bisogno di parole. Diceva: “Qui c’è qualcuno che ti aspetta”, “Questa casa non è vuota”, “Non sei solo nel buio”. Non era solo un’abitudine domestica, ma un gesto che conteneva dentro di sé intere generazioni di significati.

Nei borghi di montagna, soprattutto, il lume aveva un valore pratico e simbolico. Serviva a orientare chi rientrava tardi dai campi o dal pascolo, a guidare chi saliva dal fondovalle dopo un lungo cammino. Ma era anche un segno di riconoscenza, un piccolo atto di fiducia: la finestra non era mai del tutto chiusa, la casa non era mai del tutto spenta.

Chi ha vissuto nei paesi sa che la luce non era solo quella elettrica, arrivata tardi e a volte incerta. Prima, quando la corrente saltava con i temporali o non c’era affatto, ogni famiglia conosceva l’importanza del lume: lucerne a petrolio, candele, lampade a olio. E dietro ogni fiamma c’era una persona che vegliava.

Il lume come segno di attesa

Nelle sere d’inverno, quando la neve copriva le strade e i passi si facevano lenti, vedere un lume acceso in lontananza era come ricevere un abbraccio. “Sta tornando mio figlio”, pensava una madre, e lasciava la candela sul davanzale. “Forse passerà un viandante”, pensava un vecchio, e teneva la finestra illuminata.

Era un linguaggio semplice, quasi universale. Non importava saper leggere o scrivere: bastava saper guardare. Un lume acceso diceva che la comunità era viva, che la casa non si era spenta, che la notte non aveva vinto del tutto.

Questa attesa non era sempre lieta. A volte il lume era un segno di preghiera: per il soldato lontano, per il marito emigrato, per il fratello partito e mai tornato. Candele accese in file davanti alle finestre segnavano i giorni della guerra, le notti della paura, i mesi dell’emigrazione. Erano luci che tenevano compagnia a chi partiva e a chi restava.

La luce che orienta i passi

Ci sono racconti di anziani che ricordano i tempi in cui, tornando dalla valle al paese, di notte, non c’erano cartelli o fari. C’erano solo i lumi alle finestre che segnavano la via. Una fila di luci sparse, a volte tremolanti, che dicevano: “Ancora pochi passi e sei arrivato”.

Il lume diventava così anche un atto di comunità. Non era solo una candela accesa per sé stessi, ma per gli altri. Per chiunque, nel buio, avesse bisogno di un segno. Una specie di “faro domestico” che indicava direzioni e infondeva sicurezza.

In certi paesi abruzzesi e molisani, ancora fino agli anni ’50, si usava mettere un lume acceso durante le notti di tempesta, quando qualcuno poteva perdersi tornando dai campi. Era un piccolo gesto che poteva salvare una vita.

Il lume che custodisce la memoria

Oggi quelle finestre sono quasi tutte chiuse. Restano persiane sbarrate, vetri polverosi, infissi che non si aprono più. Nei paesi spopolati, al calare della sera, le strade si fanno silenziose e buie. I pochi lumi che resistono appartengono a chi non vuole arrendersi: una nonna che vive sola, una famiglia che è tornata dopo anni, una casa di villeggianti che d’estate si riaccende.

Ma basta vederne uno, per sentirsi parte di una continuità. Perché quel lume racconta una storia più grande di chi lo accende: è il filo invisibile che lega presente e passato. È la memoria che si fa luce concreta.

Non a caso, in molte culture il lume alla finestra ha anche un valore religioso o rituale. Nella notte di Ognissanti, nelle vigilie di Natale, nelle feste patronali, le candele accese sono segni di fede e di comunità. Sono preghiere silenziose che illuminano l’oscurità.

Il lume come simbolo di resistenza

In un tempo in cui i borghi si spengono per mancanza di persone, il lume alla finestra diventa un atto di resistenza civile e culturale. È dire: “Io resto”. È affermare che, anche se intorno il buio sembra prevalere, una piccola luce può ancora resistere.

Non servono grandi progetti o bandi milionari per tenere viva la memoria di un luogo. A volte basta un lume acceso. Un gesto che costa poco, ma che parla a tutti. È un atto di dignità: non spegnere del tutto ciò che ci ha fatto comunità.

Una metafora per i nostri tempi

Forse anche le nostre vite, oggi, hanno bisogno di un lume alla finestra. In un mondo fatto di chiusure, di cancelli e di porte blindate, un segno di apertura, di disponibilità, di calore umano è più necessario che mai.

Il lume può diventare metafora di tante cose:

  • la disponibilità ad ascoltare,

  • la volontà di restare accanto a chi torna,

  • la capacità di non spegnere del tutto i legami, anche quando tutto intorno sembra perdere senso.

Mettere un lume alla finestra significa dire “nonostante tutto, io ci sono”. E se ognuno di noi, nelle proprie case, nelle proprie relazioni, nel proprio lavoro, provasse a tenere accesa questa piccola luce, forse il buio collettivo ci farebbe un po’ meno paura.

Un invito al lettore

La prossima volta che cammini in un borgo, prova a cercare il lume alla finestra. Se lo trovi, fermati un istante. Non è solo una candela accesa: è un pezzo di storia che resiste. È un invito silenzioso a credere che la comunità non muore finché qualcuno tiene viva la sua luce.

E se non lo trovi, forse puoi essere tu ad accenderlo. Non solo nel senso letterale, ma nel senso più ampio: un gesto di apertura, di cura, di memoria. Perché i paesi, come le persone, hanno bisogno di segni visibili per non sentirsi abbandonati.

Il lume alla finestra è questo: un piccolo segno che diventa universale. Un linguaggio che non ha bisogno di traduzioni. Una speranza che continua a brillare, anche quando tutto sembra spento.

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