domenica 31 agosto 2025

In vino veritas – Racconto enologico di un’alba

 


Al primo chiaretto dell’alba, quando il sole timido si affacciava dietro le colline dell’Oltrepò Pavese, camminavo solitario tra i filari. La nebbiolina era sottile come un nebbiolo giovane, e ogni passo affondava in una terra che odorava di barbera appena pigiata.

Il cielo oscillava tra il giallo dorato di un verdicchio e il rosa pallido di un grignolino, passando per riflessi cerasuolo e bagliori di trebbiano. A tratti mi sembrava di intravedere il verde di un sauvignon friulano, e poco dopo la luce ramata di un pinot grigio. Era un cielo fatto di vitigni, come se la natura avesse scelto la lingua del vino per raccontare la sua incertezza.

Mi fermai sotto un vecchio albero di pinot nero. I suoi rami, contorti come botti di rovere, mi offrirono un riparo naturale: un cuvée di silenzio e ombra. L’aria sapeva di pecorino d’Abruzzo e di malvasia, con un accenno minerale da greco di Tufo. Mi accorsi che respiravo come se stessi degustando un calice invisibile, pronto a cogliere sfumature che non sapevo nemmeno nominare.

Fu allora che la vidi.


La donna in rosé

Camminava tra i filari con passo lieve, avvolta in un abito rosé che ricordava il colore di un cerasuolo d’Abruzzo al tramonto. Ogni suo movimento era la danza di una vendemmia: dolce, inevitabile, armoniosa.

I suoi occhi brillavano come bollicine di franciacorta, e il sorriso aveva la freschezza di un prosecco giovane. Nel suo volto si leggeva la dolcezza del moscato d’Asti, ma anche l’eleganza di uno chablis francese. Nei suoi gesti c’era la vivacità di una vernaccia di San Gimignano e la morbidezza di un fiano di Avellino.

Era una sinfonia di vitigni: la luminosità di un grechetto, la grazia floreale di un gewürztraminer, la carezza erbacea di un sauvignon blanc. Sembrava che tutta la biodiversità della vite si fosse raccolta in una sola presenza.


Il linguaggio silenzioso

Mi avvicinai senza parlare. Non era curiosità, ma lo stesso stupore che si prova davanti a una bottiglia attesa da anni in cantina. Ogni suo sguardo era un brindisi, ogni sorriso un calice che si offriva senza bisogno di essere riempito.

Intorno a noi, l’aria profumava di falanghina e di vernaccia nera, con tocchi speziati da cannonau e sfumature vellutate da sangiovese.
Era come ascoltare un’orchestra: il dolce di un passito di Pantelleria, la forza di un amarone della Valpolicella, la sincerità di un montepulciano d’Abruzzo, l’energia di un primitivo di Manduria.

Ogni vitigno evocava una memoria. Ogni profumo era un ricordo che tornava: feste di paese con il cerasuolo nei bicchieri di plastica, matrimoni scanditi da brindisi di spumante trentino, inverni riscaldati da bicchieri di aglianico del Vulture.


Il tempo di un sorso

Restammo lì, sotto l’albero di pinot nero, senza sfiorarci. Bastava il silenzio. Bastava sapere che quel momento sarebbe rimasto, anche senza bottiglie stappate.

Ma come accade con i vini migliori, il sorso fu breve.
Lei mi sorrise ancora una volta, un sorriso luminoso come un greco di Tufo, e poi si allontanò tra i filari, svanendo nella nebbiolina che saliva lenta come un fiano giovane al primo respiro.

Io rimasi immobile, con un amarone in bocca – amaro ma intenso – e un groppello stretto in gola. Il mio volto si fece rosso come un cannonau, e la mia mente corse al dolce amaro di un recioto, al calore profondo di un barolo, alla malinconia lieve di un lambrusco che sfuma presto.


La verità nel vino

“In vino veritas,” mi dissi.
E la verità, quella mattina, era semplice: il vino non è solo bevanda, è linguaggio.
Un bianco fresco parla di leggerezza, un rosso corposo di passione, uno spumante di festa, un passito di ricordi. Ognuno porta dentro una parte della vita.

La donna in rosé che avevo incontrato era tutto questo: un vitigno in cammino, un calice fatto persona.
Non era un sogno, né un’illusione: era la conferma che le emozioni, come i vini, non si misurano in punteggi, ma nei ricordi che lasciano.


Conclusione

Ripresi il cammino tra i filari. Il sole ormai era alto, dorato come un verdelho maturo, limpido come un chardonnay d’annata. L’alba era finita, ma il suo retrogusto rimaneva.

Pensai che non occorre possedere un vino per amarlo: basta averlo assaggiato almeno una volta. Così accade anche con gli incontri: un sorso può bastare per restare nella memoria di tutta una vita.

“In vino veritas,” ripetei tra me e me.
E capii che la verità, quella mattina, aveva la forma di un’alba color rosé, di una donna che svaniva tra i filari, e di una panca vuota pronta a custodire il ricordo.


✒️ La Panca Vuota – Storie di Vino

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