giovedì 14 agosto 2025

Un bicchiere di troppo, un futuro in meno – Perché l’alcol non è un gioco da ragazzi

Era una sera d’estate come tante. Un gruppo di ragazzi si era dato appuntamento in piazza, nel cuore di un piccolo centro. Qualche risata, qualche battuta, la musica proveniente dal cellulare di uno di loro. All’apparenza nulla di nuovo, se non fosse che dopo poco una sirena ha rotto quel clima leggero. Un quindicenne, steso a terra, privo di sensi. Il pronto soccorso più vicino si è trovato di fronte all’ennesimo caso di abuso di alcol da parte di un minorenne.

Un episodio che, purtroppo, non è eccezione. Le cronache degli ultimi anni raccontano di giovanissimi che finiscono in ospedale per “coma etilico”, una definizione che sembra già di per sé paradossale se accostata a chi non ha ancora raggiunto la maggiore età. La domanda allora diventa inevitabile: perché accade? E soprattutto, chi si assume la responsabilità?

La cultura dello “sballo”

Non possiamo fingere di non vedere. L’alcol è ormai diventato parte integrante dei momenti di socialità, non più soltanto degli adulti ma anche degli adolescenti. Bere “per provare”, “per sentirsi grandi”, “per non essere esclusi” sono frasi che riecheggiano tra i giovanissimi. Spesso non si tratta di un bicchiere di vino a tavola, condiviso in famiglia, ma di quantità ingestibili di superalcolici consumati in fretta, senza controllo.

Dietro c’è una cultura che confonde divertimento con eccesso. E questo non nasce per caso: pubblicità, modelli culturali, social network che esaltano l’idea dello “sballo” come unico modo per vivere la giovinezza.

La legge c’è, ma va rispettata

La normativa italiana parla chiaro: la vendita e la somministrazione di alcolici ai minori di 18 anni è vietata. Non si tratta di un dettaglio burocratico, ma di un principio di tutela. Il corpo di un adolescente non è pronto a metabolizzare certe quantità di alcol. Il rischio di danni fisici e psicologici è concreto, e la statistica lo conferma: chi inizia a bere da minorenne ha più probabilità di sviluppare dipendenze o problemi di salute in età adulta.

Eppure, la realtà racconta altro. Troppi bar, discoteche, locali scelgono di chiudere un occhio pur di guadagnare qualche consumazione in più. A volte, addirittura, l’alcol viene venduto direttamente nei supermercati senza alcuna verifica dell’età. È qui che la responsabilità degli adulti diventa fondamentale: perché un divieto non serve a nulla se chi lo deve far rispettare lo ignora.

Il ruolo della famiglia

Non tutto si può scaricare sui locali. La famiglia resta il primo argine. Non per proibire e punire, ma per accompagnare, spiegare, educare. Parlare con i ragazzi di alcol, droga, dipendenze non significa togliergli libertà, ma offrirgli strumenti per scegliere. Fingere che “tanto non succederà” è una delle illusioni più pericolose.

Molti genitori raccontano di sentirsi disarmati. Ma la prevenzione inizia a casa: dal non normalizzare il “bere tanto” come fosse un vanto, dall’insegnare che una festa non si misura in bottiglie vuote ma nei ricordi condivisi.

I dati che non possiamo ignorare

Secondo le ultime indagini, in Italia oltre il 20% dei ragazzi sotto i 16 anni ha già avuto episodi di ubriacatura. Numeri che fanno riflettere, se pensiamo che stiamo parlando di studenti delle scuole superiori, ancora minorenni. Nei pronto soccorso, gli accessi per intossicazione da alcol in età adolescenziale sono in aumento.

E non parliamo solo di rischi immediati. L’alcol riduce i riflessi, aumenta i pericoli alla guida, favorisce comportamenti aggressivi o violenti. Un bicchiere di troppo può segnare non solo la serata, ma un’intera vita.

La comunità che educa

Serve un patto collettivo. Famiglie, scuole, istituzioni, attività commerciali. Tutti devono fare la propria parte. Non bastano le campagne di sensibilizzazione se poi davanti a un minorenne che chiede una birra nessuno dice “no”. Non serve indignarsi dopo l’ennesimo ricovero se prima non si agisce per evitarlo.

Le attività devono sentirsi parte della comunità, non solo esercizi commerciali. Vietare la somministrazione di alcol ai minori non è una seccatura, ma un dovere etico prima ancora che legale. Le scuole, da parte loro, possono creare percorsi di educazione più concreti e meno retorici, con testimonianze, incontri, esperienze dirette.

Non è proibizionismo, è protezione

Qualcuno liquida la questione come eccesso di rigidità. Ma non si tratta di togliere libertà, bensì di proteggerne una più grande: quella di crescere senza danni irreparabili. Vietare l’alcol ai minorenni significa offrire loro la possibilità di diventare adulti più consapevoli, più sani, più liberi davvero.

L’alcol, consumato con moderazione in età adulta, può far parte della nostra cultura e della convivialità. Ma introdurlo troppo presto, in dosi incontrollate, è una ferita che rischia di segnare una generazione.

Conclusione

Ogni volta che un ragazzo finisce in ospedale per aver bevuto troppo, dovremmo sentirlo come un fallimento collettivo. Non solo della sua famiglia, non solo del locale che gli ha venduto l’alcol, ma di un’intera società che troppo spesso preferisce nascondere il problema piuttosto che affrontarlo.

Vietare l’alcol ai minorenni non è solo una legge: è un atto di responsabilità verso il futuro. Un futuro che merita meno bottiglie vuote e più sogni pieni.


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